Affresco della villa di Livia a Prima Porta

Palazzo Massimo alle Terme e l’affresco della Villa di Livia a Prima Porta

Quando si va a Roma e si vuole andare in un museo, c’è solo l’imbarazzo della scelta. Solitamente si è inevitabilmente attratti dai Musei Capitolini e dai Musei Vaticani. Ma tra quelli che rimangono a volte fuori dalle visite più “superifciali” e comunque in posizione centrale, ale la pena ricordare anche il Museo Nazionale Romano, che si divide in cinque differenti sedi: Palazzo Massimo alle Terme, Palazzo Altemps, Crypta Balbi, Terme di Diocleziano e Museo del Palatino.

Per chi apprezza particolarmente statue, affreschi o monete, Palazzo Massimo è assolutamente da non perdere, perché può vantare veri e propri capolavori. Uno di questi è proprio quello di cui vogliamo parlarvi, a Palazzo Massimo è custodito l’affresco “del giardino” della villa di Prima Porta (poco fuori Roma), che ci è stata tramandata dalle fonti come la Villa di Livia “ad gallinas albas”, per via di un prodigio avvenuto alla moglie dell’Imperatore: un’aquila lasciò cadere sul grembo di Livia una gallina bianca con un ramo di alloro stretto nel becco; seguendo questo buon auspicio, era quindi stata costruita la villa e piantato un laureto.

Scoperti nel 1863 e subito documentati con disegni acquerellati e portati fin dal 1951/52 al Museo Nazionale Romano, questi affreschi sono un vero e proprio unicum archeologico; sono infatti pochi gli esempi di pittura antica arrivati fino a noi in così buone condizioni, se si considerano le dimensioni della stanza (5,90×11,70 metri), le pochissime lacune dell’affresco, l’importanza della Villa (che era villa imperiale) ed il fatto che questo sia il più antico affresco del suo genere, databile tra il 40 ed il 20 avanti Cristo, si capisce perchè siano così speciali da essere ritenuti “unici”.

La stanza da cui provengono queste pitture, che in antichità non aveva finestre, è un vero e proprio seminterrato e si raggiunge attraverso un’apposita scalinata e probabilmente nel soffitto a botte, si apriva un lucernaio che illuminava la stanza. Uno dei motivi che hanno aiutato l’affresco ad arrivare fino ai nostri giorni in così buone condizioni, è l’essere stato dipinto su intonaco applicato su tegole che erano staccate dal muro, in questo modo l’intercapedine d’aria ha potuto difendere le pitture dall’umidità.

Raccontata brevemente la storia, veniamo ora all’opera vera e propria. Il giardino viene dipinto su tutta la grandezza dei muri, partendo dalla fine della volta a botte, fino ad arrivare al pavimento, senza elementi architettonici verticali e senza la minima presenza dell’uomo. Appare forte e voluto il contrasto tra una stanza sostanzialmente sotterranea e chiusa ed il soggetto dipinto, un giardino aperto, arioso e spazioso.

Gli unici elementi architettonici presenti nell’affresco sono le due recinzioni. La prima appare come una staccionata di canne che delimita il punto di osservazione con l’area “verde”, mentre la seconda è una balaustra in marmo che delimita lo spazio per una ipotetica “ambulatio” (inclusa tra le due recizioni) ed il giardino vero e proprio.

Tra i due elementi architettonici, si trovano piccoli arbusti e la balaustra marmorea mostra rientranze (una per lato della sala) al cui interno si trova un albero per ogni rientranza. Guardando oltre l’ultima recinzione, troviamo una grande quantità di alberi, pieni di fiori e frutti, ed uccelli, che si sviluppano su tre differenti registri: in primo piano flora e fauna sono dipinti con accuratezza incredibile, che permette addirittura di fare un’analisi botanica ed ornitologica del giardino.

In un secondo piano ci sono piante distinguibili (soprattutto allori) e piante meno chiare; infine sullo sfondo ci sono piante non più distinguibili, che servono solo a fare da fondale. Questa scalatura nelle osservazioni dei dettagli, unita alle due recinzioni, dona una notevole profondità spaziale al dipinto e quindi al giardino.

Queste stesse caratteristiche, donano poi un percorso di osservazione dell’affresco che si divide in due tempi: prima si ha una visione d’insieme, grazie alle recizioni ed alla profondità del giardino, poi avviene il tentativo di riconoscimento delle varie specie animali e vegetali dipinte.

L’affresco è più un “catalogo ornitologico-botanico” che non la descrizione di un reale giardino, vista la presenza di troppe varietà di piante ed uccelli ed il fatto che ci siano fiori e frutti che non crescono negli stessi periodi dell’anno. Tra gli alberi in primo piano e quelli indistinti del folto del giardino, spesso si possono vedere degli allori, che richiamano nuovamente al laureto impiantato da Livia.

Visto che l’alloro che veniva usato per festeggiare le vittorie era prelevato proprio da questi boschi (Plinio, Svetonio e Cassio Dione concordano che arrivassero da un laureto presso Prima Porta) si potrebbe anche pensare che quegli allori facessero riferimento anche alle vittorie di Ottaviano e che il giardino perennemente fiorito poteva avere un valore augurale per la famiglia e la stirpe imperiale.

Nella villa in fondo è stata ritrovata la statua di Augusto detta di Prima Porta che ha forti caratteristiche propagandistiche, il che rende credibile che anche questo affresco potesse rientrare nella propaganda augustea; il fatto poi che gli allori siano in secondo piano, si addice perfettamente all’astuzia con cui Ottaviano era solito farsi propaganda.

Se volete leggere qualcos’altro collegato ad Augusto, vi consiglio il breve articolo sulla numismatica ed un suo Duopondio.

Fonte: “La villa di Livia – Le pareti ingannevoli” di Salvatore Settis. Ed. Electa